Difensore, napoletano e capitano. Fischiato, com’è accaduto sabato sera a Paolo Cannavaro. «Sono passati tanti anni però sono momenti che non ho dimenticato», racconta Ciro Ferrara, carriera lunga e vincente dal Napoli alla Juve, rimasto nel calcio con due incarichi prestigiosi: vice di Lippi in Nazionale e responsabile del vivaio bianconero.
Nell’estate del ’91, finita l’era di Maradona, la fascia di capitano passò al ventiquattrenne ragazzo di via Manzoni, cresciuto nel settore giovanile del Napoli. In panchina l’allenatore emergente Ranieri e, quando la squadra non brillava, si ascoltavano fischi a Fuorigrotta. Ferrara, come visse quel periodo? «Non bene, all’inizio. Ero napoletano, cresciuto con quella maglia come seconda pelle, e non capivo: perché prendersela con me? Avevo un carattere forte e assorbii le contestazioni. E sono convinto che farà lo stesso Paolo dopo i fischi dell’altra sera». Lei li ha ascoltati in tv? «No, per fortuna in quel momento ero distratto. Mi sarebbe dispiaciuto assistere alla scena perché so quanto Cannavaro sia sensibile e legato alla maglia. Lui, napoletano come me, conosce l’ambiente e sa che queste cose possono capitare. Andrà avanti per la sua strada».
Da Ferrara a Cannavaro junior tanti i napoletani finiti nel mirino: si sono ascoltati fischi anche per il ventunenne Vitale, il più giovane della squadra. «Non dico che nessuno è profeta in patria perché non è così: ad esempio, io ho giocato dieci anni a Napoli, le carriere di campioni come Maldini e Totti sono state esclusivamente in due club come Milan e Roma. Ma dico che è difficile per un napoletano giocare qui e non so perché. Ci sono anche gli altri, le responsabilità vanno suddivise: non mi sembra che soltanto Paolo attraversi un periodo difficile e infatti durante la partita si sono ascoltati fischi indirizzati un po’ a tutti». Cosa si aspettano i tifosi da un napoletano? «Sembra che un calciatore nato a Napoli debba dare qualcosa in più. I fischi ci possono stare: sono la forma di dissenso del pubblico. Ma non è giusto se il capro espiatorio è uno: il napoletano, il capitano. Non mi piace quando viene colpito un calciatore che dà il massimo come Paolo. Si capiva qual era il clima l’altra sera: si ascoltavano fischi a ogni scorrimento del pallone nell’area del Napoli…». Un consiglio a Paolo? «Non credo che ne abbia bisogno: conosco il suo carattere e la sua serenità, non andrà incontro a contraccolpi psicologici e si concentrerà esclusivamente sul lavoro. Tanti anni fa andò così per me. Fu un momento duro però mi aiutò a crescere».
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento